" 100 ANNI DALLA NASCITA 1912 - 2012 "
arte, scultura e pittura di Ubert Piacco
Ubert Piacco, art, la sculpture et la peinture
(articolo tratto dal quotidiano "Momento sera" 28.02.1957
Le note di vita Romana
Alla galleria <<la Fontanella>>
ALLA GALLERIA « LA FONTANELLA », in via del Babuino, è di scena questa volta un giovane scultore: Ubert Piacco. E non a caso abbiamo detto di scena, il temine lo hanno suggerito le sue opere, molte delle quali ispirate alla danza. In esse vi è ritmo, plasticità scattante, concentrazione energica, anche se espressa con una terminologia simbolica. Alla inaugurazione molti i visitatori, tutti entusiasti. Per un debuttante, un successo lusinghiero. Abbiamo incontrato: Nino Franchina, Gina Severini, Renato Guttuso, Emilio Villa, Marino Mazzacurati, signora Costanza Binaghi, Ugo Attardi, Tato, Sara Mirabella, Esodo Pratelli, Giuseppe Pensabene, Franco Miele, dottor Berardelli, Angelo Verga, dottor G. Romualdi, dott. R. Sbaffi, Hans Bott, A. Tidball, Humet Smitt, dott. F. Bisaccia, segretari nazionali dell’YMCA, Monachesi, Magistri, Andrea Checchi, Parr, P. F. Catalano, Renato Marmiroli, Fides Stagni, Enrico Contardi, E.Assenza, Vittorio Scorza, G. Di Virgilio, Augusto Pagan, Luciano Zeppegna, Paola Bentivoglio, dott. Silvio Perina, Maurizio Ignoti, maestro Giovanni Fusco e signora Adriana, Enrica Botti, Carlo Fiorani, dott. Luigi Roccati, G. M. Orlando, Franco Assetto, Gino Marotta, Ugo Rambaldi e il direttore della Galleria, Aedo Galvani.
(articolo tratto dal quotidiano "Il Tempo" 05.03.1957)
Mostre Romane
Ubert Piacco alla Fontanella
Esiste oggi una scultura stranamente arcaica, tutta ritmica, surreale, plastriforme e filiforme. Diresti che l’artista desideri rientrare nel numero del battitore di ferro, insomma degli artigiani. Ancora figurativa, tale scultura (o plastica) evoca appena la realtà, la riduce a sagoma, la ritaglia, la deforma in obbedienza ad uno spirito decorativo; ne fa un'immagine primitiva, quale poté apparire agli artefici dei tempi preistorici. Naturalmente nulla di magico, in queste forme, nulla che si connetta a stati d’animo ingenuamente religiosi: ma tutto ornamentale formalistico, intellettualistico.
Le trentotto opere esposte da Ubert Piacco – un piemontese nato in Francia, ma vissuto a lungo a Torino – appartengono a questo gusto. E vedi Ballerine e figure di Cristo, gruppi di «miss» e «Forme notturne» calciatori e galli, uomini col badile e gatti…Prefazione al catalogo di Emilio Villa.
Virgilio Guzzi
Ubert Piacco: < Il Lancio> (bronzo).Opera esposta alla 100.a mostra della galleria La Fontanella in Roma (N.d.R.)
Le trentotto opere esposte da Ubert Piacco – un piemontese nato in Francia, ma vissuto a lungo a Torino – appartengono a questo gusto. E vedi Ballerine e figure di Cristo, gruppi di «miss» e «Forme notturne» calciatori e galli, uomini col badile e gatti…Prefazione al catalogo di Emilio Villa.
Virgilio Guzzi
Ubert Piacco: < Il Lancio> (bronzo).Opera esposta alla 100.a mostra della galleria La Fontanella in Roma (N.d.R.)
(Articolo tratto dal quotidiano " IL POPOLO ITALIANO " Sabato 13 aprile 1957)
INCONTRI CON ARTISTI CONTEMPORANEI
LA SCULTURA DI UBERT PIACCO
Danza
Adesso che a Roma, la sua prima «personale» si è conclusa, Ubert Piacco può fare un bilancio, tirare le somme, vedere insomma se i lunghi anni di lavoro sono stati fecondi.
Ad alcune voci favorevoli, ad altre frettolose, si sono aggiunte, da parte di certa critica ufficiale, quelle di chi, per troppa sicurezza di se o per meschini interessi, ha accusato Piacco di essersi affidato troppo a certo formalismo intellettuale ed ornamentale.
Accuse, queste, che rivelano chiaramente la grave situazione in cui versa l’arte italiana per la confusione che molti critici provocano a loro esclusivo vantaggio.
Ma chi conosce profondamente Piacco, sa da quali lontananze è partito per arrivare alla maturità di oggi.
Per Ubert Piacco scolpire, creare, plasmare, è una condizione da cui non può evadere senza soffrire. Tutta la sua vita di fatica e di lavoro testimonia questa verità. Nato in Francia da genitori piemontesi, egli venne a Torino intorno al 1915 ove frequentò per un periodo l’Accademia Albertina. Si può quindi considerare un autodidatta. Questo per noi non significa nulla. Piacco ha impiegato tutta la sua vita per raggiungere i risultati di oggi. Anni di ricerche, di pene, di dubbi, di sacrifici giacché egli ha fatto cento mestieri, pur di non tradire la sua vocazione. Cento mestieri che hanno sottratto anni al lavoro prediletto, rinviando il debutto, l’ingresso ufficiale nel mondo dell’arte ad un’età ove solitamente si è già ben avviati sulla strada del successo, ammesso che si abbia talento.
Questa realtà, se si escludono sporadiche partecipazioni del Piacco a « collettive » ed a qualche concorso, è la prova più concreta della sua serietà e del suo impegno creativo.
L’arte contemporanea non è obbligata, come un tempo, ad esprimere un particolare ordine di idee, ma è soprattutto una visione interiore e personale dell’uomo, il quale può benissimo esprimere i suoi interessi privati senza essere per questo accusato di incapacità nel tradurre in forme estetiche sufficienti i moti della sua ispirazione.
Vogliamo dire con questo che il frutto del suo lavoro non è esclusivamente un arido esercizio grammaticale, ma il concretarsi di una visone del mondo che nega il particolare per il generale, disumanizzandosi, a volte, ma universalizzandosi.
Assimilate queste esperienze estetiche e spirituali, l’arte di Ubert Piacco si enuclea in un linguaggio di ritmi gravidi di simbolismo e, grazie alla materia che li costituisce (il bronzo), le figure si articolano vibratili nello spazio come esseri viventi proiettati in un tempo senza riferimento storico.
Si direbbe che l’Artista è costantemente ossessionato dall’idea ritmica che pulsa in ogni essere ed è smanioso di portarla alla luce attraverso una spogliazione fisica della materia. Piacco, infatti, toglie ai suoi personaggi, il mantello di carne che ricopre le parti scattanti del corpo per offrirceli nella scarna essenzialità di una deformazione che sprigiona ansia di vivere.
Il ritmo diviene così strumento per tradurre in termini inequivocabili il sentimento dell’artista verso il mondo che lo circonda.
Si tratta quindi di una scultura ricca di autentica ispirazione, avviata a dare prove sempre più impegnative.
Una scultura per certo verso sconcertante, senza appigli esteriori, da conquistare con uno sforzo intellettuale privo di sensualità perché i suoi volumi rifiutano ogni possesso tattile, il risultato di idee inquietanti e vivaci.
Si vede, a tale proposito, la serie delle danzatrici o comunque i soggetti legati al tema della danza, la « Corsa », « Perseo », « Uomo col piccone », « Il fonditore », per non citare che pochi esempi.
Abbiamo appreso da Piacco che dopo la « personale »,che terrà tra poco a Milano, intende esporre a Parigi. In quest’ultima città, più che in Italia, noi abbiamo la certezza di un suo indiscutibile successo.
Glielo auguriamo di cuore per la sua coerenza e la fede assoluta nel suo lavoro.
FRANCO TOSI
Ad alcune voci favorevoli, ad altre frettolose, si sono aggiunte, da parte di certa critica ufficiale, quelle di chi, per troppa sicurezza di se o per meschini interessi, ha accusato Piacco di essersi affidato troppo a certo formalismo intellettuale ed ornamentale.
Accuse, queste, che rivelano chiaramente la grave situazione in cui versa l’arte italiana per la confusione che molti critici provocano a loro esclusivo vantaggio.
Ma chi conosce profondamente Piacco, sa da quali lontananze è partito per arrivare alla maturità di oggi.
Per Ubert Piacco scolpire, creare, plasmare, è una condizione da cui non può evadere senza soffrire. Tutta la sua vita di fatica e di lavoro testimonia questa verità. Nato in Francia da genitori piemontesi, egli venne a Torino intorno al 1915 ove frequentò per un periodo l’Accademia Albertina. Si può quindi considerare un autodidatta. Questo per noi non significa nulla. Piacco ha impiegato tutta la sua vita per raggiungere i risultati di oggi. Anni di ricerche, di pene, di dubbi, di sacrifici giacché egli ha fatto cento mestieri, pur di non tradire la sua vocazione. Cento mestieri che hanno sottratto anni al lavoro prediletto, rinviando il debutto, l’ingresso ufficiale nel mondo dell’arte ad un’età ove solitamente si è già ben avviati sulla strada del successo, ammesso che si abbia talento.
Questa realtà, se si escludono sporadiche partecipazioni del Piacco a « collettive » ed a qualche concorso, è la prova più concreta della sua serietà e del suo impegno creativo.
L’arte contemporanea non è obbligata, come un tempo, ad esprimere un particolare ordine di idee, ma è soprattutto una visione interiore e personale dell’uomo, il quale può benissimo esprimere i suoi interessi privati senza essere per questo accusato di incapacità nel tradurre in forme estetiche sufficienti i moti della sua ispirazione.
Vogliamo dire con questo che il frutto del suo lavoro non è esclusivamente un arido esercizio grammaticale, ma il concretarsi di una visone del mondo che nega il particolare per il generale, disumanizzandosi, a volte, ma universalizzandosi.
Assimilate queste esperienze estetiche e spirituali, l’arte di Ubert Piacco si enuclea in un linguaggio di ritmi gravidi di simbolismo e, grazie alla materia che li costituisce (il bronzo), le figure si articolano vibratili nello spazio come esseri viventi proiettati in un tempo senza riferimento storico.
Si direbbe che l’Artista è costantemente ossessionato dall’idea ritmica che pulsa in ogni essere ed è smanioso di portarla alla luce attraverso una spogliazione fisica della materia. Piacco, infatti, toglie ai suoi personaggi, il mantello di carne che ricopre le parti scattanti del corpo per offrirceli nella scarna essenzialità di una deformazione che sprigiona ansia di vivere.
Il ritmo diviene così strumento per tradurre in termini inequivocabili il sentimento dell’artista verso il mondo che lo circonda.
Si tratta quindi di una scultura ricca di autentica ispirazione, avviata a dare prove sempre più impegnative.
Una scultura per certo verso sconcertante, senza appigli esteriori, da conquistare con uno sforzo intellettuale privo di sensualità perché i suoi volumi rifiutano ogni possesso tattile, il risultato di idee inquietanti e vivaci.
Si vede, a tale proposito, la serie delle danzatrici o comunque i soggetti legati al tema della danza, la « Corsa », « Perseo », « Uomo col piccone », « Il fonditore », per non citare che pochi esempi.
Abbiamo appreso da Piacco che dopo la « personale »,che terrà tra poco a Milano, intende esporre a Parigi. In quest’ultima città, più che in Italia, noi abbiamo la certezza di un suo indiscutibile successo.
Glielo auguriamo di cuore per la sua coerenza e la fede assoluta nel suo lavoro.
FRANCO TOSI
(Tratto da " Corriere della Nazione " 18.04.1957)
Le “vibrazioni,, delle opere di Piacco _________________________________________________________________
Una dinamica aderente al tempo in cui viviamo anima le creazioni in bronzo di questo figlio di Torino sabauda - “Ismi,, che non definiscono e che non hanno giustificazione
_________________________________________________________________
Chi viene a contatto per la prima volta con la scultura in bronzo di Ubert Piacco – torinese – deve senz’altro provare un profondo senso di smarrimento.
Tale sensazione ho provato anch’io di fronte alle sue opere, mi sono sentito preda di più sensazioni in una sola, valida ad esprimere le « vibrazioni » dell’opera artistica di Piacco.
Quante siano le sue creazioni non ha più importanza: è lirica, capace di trasportare improvvisamente nel mondo dell’irreale.
Non vi è altra sensazione che possa, al momento, giustificare il fiato a mezz’aria, quasi che il fluido geniale evapori dai bronzi, veloci, dinamici; è dal tutto che l’opera stessa acquista grande significato, cosí come un motivo sinfonico altamente emotivo dentro il classico virtuosismo di un meraviglioso complesso strumentale.
Non è più, dunque, l’opera singola che acquista particolare valore, ma la visione d’insieme anche se nelle opere singole si può udire la stessa grandiosità spaziale di una sola nota musicale.
Chi viene a contatto con Piacco scultore, non può fare a meno dal pensare a Piacco uomo e mettere l’uno di fronte all’altro per avere, dal confronto delle due entità, il rapporto fra ciò che è umano e quello che cessa di esserlo per essersi tramutato in essenza artistica.
Piacco, infatti, è l’artista eccezionale che in luogo di esibirsi con i consueti schemi classicheggianti ha dato vita, andando oltre il classico, ad opere non meno sensibili, significative ed espressive, secondo una dinamica aderente alla realtà dell’Era Atomica.
Se, ad esempio, nel « classico » c’è verità, nei bronzi di Piacco c’è tutto l’eccezionale movimento della umanità che gioisce, soffre, piange, si esalta, lavora, si umilia, si prostituisce, si diverte e si annulla dentro a poche linee sottili. Piacco infatti non ha bisogno di monoliti o di tonnellate di metallo: gli basta rincorrere febbrilmente con un filo di bronzo il « suo » guizzo creativo e seguire la fiamma della felice vena che lo ispira, per eternare vibrazioni che sono, per essere estremamente umane, di tutti ma che a pochi eletti è dato captare e fermare nella materia, essendo frutto di una particolare geniale fermentazione artistica.
Il musicista eterna il suo genio sulla carta pentagrammata: Piacco nel bronzo.
Con mezzi così diversi raggiungono gli stessi scopi, se bene vero è che le sculture di Piacco esprimono motivi allegorici, densi di poesia, che solo con la musica possono avere un comune denominatore artistico.
Fra il musicista e lo scultore, pertanto, non vi è differenza alcuna perché entrambi esprimono motivi sinfonici pieni di grazia nei larghi, nelle movenze della danza, negli andanti nel solenne profilo del Cristo che vuole andare verso l’eccelso provocando estasi, incanti e turbamenti.
E’ così, perché al primo turbamento, superata la prima esitazione e vinta la prima resistenza dal contatto con il soprannaturale, i bronzi di Piacco acquistano vita, vigore, linee, fattezze e si rivestono piano piano di forme vive e reali che tendono a smaterializzarsi per tradursi in pura essenza artistica. Non siamo, quindi, al cospetto di un artista che, ben lontano dal calcare o ricalcare orme di predecessori lontani o vicini, abbia voluto atteggiarsi a « enfant terrible » della scultura moderna per presentare sculture nuove in un groviglio di ferri contorti dal dubbio certificato di nascita e da paternità incerte, di tendenze arcane e sconfessate.
Il « nuovo » di Piacco è ottenuto passando con estrema compostezza di stile – derivante gli da una profonda cultura artistica di ineccepibili basi classiche – dentro e fuori le maglie degli « ismi » (astattismi, surrealismi, impressionismi, verismi e chi più ne ha ne metta giacchè non è più buon critico chi non sappia coniare degli <ismi> nuovi) senza rimanerne, comunque, contaminato.
Piacco, infatti, non ha niente a che vedere con tutta la somma delle varie tendenze moderne che amano coprire, più che gli insani pudori, l’assoluta mancanza di originalità sotto le fin troppo compiacenti tendenze demagogiche e retoriche di quegli « ismi ».
Egli sbalordisce con la sua realtà limpida come una preghiera semplicemente perché ha saputo andare oltre le possibilità artistiche finora concepite e realizzate, con una strumentazione scultorea del tutto inedita, almeno in Italia. Non è, come si vorrebbe far credere, un ermetico, un cabalista, un istrionico e nemmeno un « semiastrattista » o un « etrusco-arcaico»: è un « creatore » nuovo che parla un nuovo linguaggio e riesce a convincere.
Credere nel « bello o nel brutto » solo attraverso il bene della vista, è troppo poco per scrivere – dunque, per affermare – che Piacco è un « semi-astrattista » come qualcuno in sede critica ha voluto definirlo. Sarebbe come dire, giacche sono esistiti i giganti, che Piacco è un « mezzo uomo » perché è alto un metro e ottanta.
Affermare che Piacco è « semiastrattista » vuol dire non aver capito niente della sua arte, annullare venti anni di lavoro e di sofferenze di un artista.
A tutte queste azioni negative lo scultore Piacco avrebbe dovuto rispondere con un cartello di sfida con dipinto: «un bel silenzio non fu mai scritto». ed avrebbe fatto bene, se non altro per demolire l’insulto del suo - inesistente - « semiastrattismo ».
Macchè « semiastrattismo » d’Egitto! Piacco è concreto, visibile, poetico, sinfonico e lirico: è tutto meno che astratto, perbacco.
Comprendere come egli sia riuscito a ritenere le vibrazioni artistiche che lo hanno esaltato nella sofferenza che lo ha portato a cercare la verità con un linguaggio del tutto nuovo, è come volere chiedere ai Santi come si facciano i miracoli, perché nei bronzi di Piacco è visibile la forma e nella forma ci sono la materia e lo spirito mirabilmente fusi nella vita. Lo scultore si è abbandonato completamente all’estro creativo ed è andato oltre il comprensibile, rincorrendo verità idealizzate e martirizzate fino a toccare il soffitto della sofferenza massima nella «Pietà» (op. 38) e in «Liberarsi» (op. 36) e nel «Cristo».
Non sono opere «metafisiche»: sono realizzazioni ragionate, il che sostanzialmente, è ben diverso.
Piacco-artista è un uomo sofferente e verrebbe fatalmente travolto se non trovasse la forza di riverberare tutte le Sue amarezze fra le braccia del Cristo. Un Cristo in croce che pare crocefisso almeno settantasette volte sette. Ha la testa staccata dal busto ed appesa ad un braccio: un’opera eretica?
È evidente che dentro al tormento di quel bronzo ci sono le vibrazioni negative della Società che, violando la legge dei vangeli e della morale cristiana, lo crocefigge quotidianamente.
« Dunque l’eretico » non è Piacco. Ma è poi un Cristo? È stato chiesto. Lo è, rispondiamo, anche se « rivoluzionario »ed « anticonformista » ed irrepetibile.
Purtroppo, lo scultore ha omesso di incidere sul bronzo le parole « Si quis dixerit… Anathem sit».
Quali arcani segreti si agitano e si liberano in queste opere, fluide, veloci, smaterializzate? Sorgono degli interrogativi.
Domande che impongono una risposta. Per noi non v’è che un grandioso sentimento di evasione e di liberazione da tutto ciò che è vincolato alla materia, ribellione al dogma del credere nella inviolabilità degli schemi tradizionali ed irrazionali dell’arte, la violazione alle consuetudini e ai tradizionalismi – e formalismi – che in arte hanno assunto la forza di legge; il compendio delle reazioni negative nel desiderio intimo di eternare la velocità dinamica dell’attimo in cui il soffio creatore diventa operante.
Per questo, forse, le opere di Piacco hanno trovato la critica muta anche se non assente e nessun compratore: i due fatti sono interdipendenti e si giustificano vicendevolmente.
Piacco all’estero avrebbe forse, ottenuto un successo di critica e in America, come in Francia, avrebbe, forse, venduto tutto. Per questo gli consigliamo di evadere dal piatto conformismo nostrano, se vorrà trovare nuovo estro, il pane quotidiano (quello fatto di farina, acqua e e sale), e maggiori soddisfazioni.
L’opera « Al palo » (N. 21) è esuberante, piena, bella: da essa la sofferenza scaturisce spontanea quasi che il supplizio dell’impalato fosse comune a tutti gli uomini.
Così nel « Il fonditore » (op. 35), nell’« Uomo col badile » (op. 34) e nell’« Uomo col piccone » (op. 23) dove Piacco raggiunge il massimo volume della sua voce.
Quegli « uomini » intenti ad un lavoro, pur così esili, quasi filiformi e senza sostanzialità corporea, sono pieni di esuberanza fisica, di eleganza e di stile, tanto che il lavoro diventa un motivo; un «motivo di danza» come mi pare di avere inteso dire ed è stato ben detto.
E la danza! Ecco il campo di battaglia dello scultore.
Le bronzee ballerine hanno una grazia inconfondibile e sembrano poste sulle onde di un motivo musicale che non c’è ma che si intuisce, pare di sentirlo.
Nell’opera « Il Perseo » c’è una trasposizione artistica di indubbio valore: qui Piacco ha eternato la « sua » verità artistica.
È una sensazione scultorea? È indubbio che Perseo di Piacco è vibrante e non certo appartenente alle tendenze cosiddette « futuriste ».
Non c’è da stupirsi, dunque, che fra tanto veloce dinamismo, qualcuno sia stato tratto in inganno paragonando Piacco ad artisti contemporanei quali Lipschitz Moore «e di riflesso il bolognese Minguzzi».
In effetti, lo scultore torinese, per la sua originalità, al momento non ha altri rivali all’infuori di sé stesso e nessun confronto è possibile.
Piacco è Piacco, anche se i riferimenti ai maggiori possano eventualmente renderlo discutibile, una ragione di più per qualificarlo secondo il suo giusto valore, i suoi giusti meriti e, ben inteso, dentro i suoi limiti.
RENATO MARMIROLI
Tale sensazione ho provato anch’io di fronte alle sue opere, mi sono sentito preda di più sensazioni in una sola, valida ad esprimere le « vibrazioni » dell’opera artistica di Piacco.
Quante siano le sue creazioni non ha più importanza: è lirica, capace di trasportare improvvisamente nel mondo dell’irreale.
Non vi è altra sensazione che possa, al momento, giustificare il fiato a mezz’aria, quasi che il fluido geniale evapori dai bronzi, veloci, dinamici; è dal tutto che l’opera stessa acquista grande significato, cosí come un motivo sinfonico altamente emotivo dentro il classico virtuosismo di un meraviglioso complesso strumentale.
Non è più, dunque, l’opera singola che acquista particolare valore, ma la visione d’insieme anche se nelle opere singole si può udire la stessa grandiosità spaziale di una sola nota musicale.
Chi viene a contatto con Piacco scultore, non può fare a meno dal pensare a Piacco uomo e mettere l’uno di fronte all’altro per avere, dal confronto delle due entità, il rapporto fra ciò che è umano e quello che cessa di esserlo per essersi tramutato in essenza artistica.
Piacco, infatti, è l’artista eccezionale che in luogo di esibirsi con i consueti schemi classicheggianti ha dato vita, andando oltre il classico, ad opere non meno sensibili, significative ed espressive, secondo una dinamica aderente alla realtà dell’Era Atomica.
Se, ad esempio, nel « classico » c’è verità, nei bronzi di Piacco c’è tutto l’eccezionale movimento della umanità che gioisce, soffre, piange, si esalta, lavora, si umilia, si prostituisce, si diverte e si annulla dentro a poche linee sottili. Piacco infatti non ha bisogno di monoliti o di tonnellate di metallo: gli basta rincorrere febbrilmente con un filo di bronzo il « suo » guizzo creativo e seguire la fiamma della felice vena che lo ispira, per eternare vibrazioni che sono, per essere estremamente umane, di tutti ma che a pochi eletti è dato captare e fermare nella materia, essendo frutto di una particolare geniale fermentazione artistica.
Il musicista eterna il suo genio sulla carta pentagrammata: Piacco nel bronzo.
Con mezzi così diversi raggiungono gli stessi scopi, se bene vero è che le sculture di Piacco esprimono motivi allegorici, densi di poesia, che solo con la musica possono avere un comune denominatore artistico.
Fra il musicista e lo scultore, pertanto, non vi è differenza alcuna perché entrambi esprimono motivi sinfonici pieni di grazia nei larghi, nelle movenze della danza, negli andanti nel solenne profilo del Cristo che vuole andare verso l’eccelso provocando estasi, incanti e turbamenti.
E’ così, perché al primo turbamento, superata la prima esitazione e vinta la prima resistenza dal contatto con il soprannaturale, i bronzi di Piacco acquistano vita, vigore, linee, fattezze e si rivestono piano piano di forme vive e reali che tendono a smaterializzarsi per tradursi in pura essenza artistica. Non siamo, quindi, al cospetto di un artista che, ben lontano dal calcare o ricalcare orme di predecessori lontani o vicini, abbia voluto atteggiarsi a « enfant terrible » della scultura moderna per presentare sculture nuove in un groviglio di ferri contorti dal dubbio certificato di nascita e da paternità incerte, di tendenze arcane e sconfessate.
Il « nuovo » di Piacco è ottenuto passando con estrema compostezza di stile – derivante gli da una profonda cultura artistica di ineccepibili basi classiche – dentro e fuori le maglie degli « ismi » (astattismi, surrealismi, impressionismi, verismi e chi più ne ha ne metta giacchè non è più buon critico chi non sappia coniare degli <ismi> nuovi) senza rimanerne, comunque, contaminato.
Piacco, infatti, non ha niente a che vedere con tutta la somma delle varie tendenze moderne che amano coprire, più che gli insani pudori, l’assoluta mancanza di originalità sotto le fin troppo compiacenti tendenze demagogiche e retoriche di quegli « ismi ».
Egli sbalordisce con la sua realtà limpida come una preghiera semplicemente perché ha saputo andare oltre le possibilità artistiche finora concepite e realizzate, con una strumentazione scultorea del tutto inedita, almeno in Italia. Non è, come si vorrebbe far credere, un ermetico, un cabalista, un istrionico e nemmeno un « semiastrattista » o un « etrusco-arcaico»: è un « creatore » nuovo che parla un nuovo linguaggio e riesce a convincere.
Credere nel « bello o nel brutto » solo attraverso il bene della vista, è troppo poco per scrivere – dunque, per affermare – che Piacco è un « semi-astrattista » come qualcuno in sede critica ha voluto definirlo. Sarebbe come dire, giacche sono esistiti i giganti, che Piacco è un « mezzo uomo » perché è alto un metro e ottanta.
Affermare che Piacco è « semiastrattista » vuol dire non aver capito niente della sua arte, annullare venti anni di lavoro e di sofferenze di un artista.
A tutte queste azioni negative lo scultore Piacco avrebbe dovuto rispondere con un cartello di sfida con dipinto: «un bel silenzio non fu mai scritto». ed avrebbe fatto bene, se non altro per demolire l’insulto del suo - inesistente - « semiastrattismo ».
Macchè « semiastrattismo » d’Egitto! Piacco è concreto, visibile, poetico, sinfonico e lirico: è tutto meno che astratto, perbacco.
Comprendere come egli sia riuscito a ritenere le vibrazioni artistiche che lo hanno esaltato nella sofferenza che lo ha portato a cercare la verità con un linguaggio del tutto nuovo, è come volere chiedere ai Santi come si facciano i miracoli, perché nei bronzi di Piacco è visibile la forma e nella forma ci sono la materia e lo spirito mirabilmente fusi nella vita. Lo scultore si è abbandonato completamente all’estro creativo ed è andato oltre il comprensibile, rincorrendo verità idealizzate e martirizzate fino a toccare il soffitto della sofferenza massima nella «Pietà» (op. 38) e in «Liberarsi» (op. 36) e nel «Cristo».
Non sono opere «metafisiche»: sono realizzazioni ragionate, il che sostanzialmente, è ben diverso.
Piacco-artista è un uomo sofferente e verrebbe fatalmente travolto se non trovasse la forza di riverberare tutte le Sue amarezze fra le braccia del Cristo. Un Cristo in croce che pare crocefisso almeno settantasette volte sette. Ha la testa staccata dal busto ed appesa ad un braccio: un’opera eretica?
È evidente che dentro al tormento di quel bronzo ci sono le vibrazioni negative della Società che, violando la legge dei vangeli e della morale cristiana, lo crocefigge quotidianamente.
« Dunque l’eretico » non è Piacco. Ma è poi un Cristo? È stato chiesto. Lo è, rispondiamo, anche se « rivoluzionario »ed « anticonformista » ed irrepetibile.
Purtroppo, lo scultore ha omesso di incidere sul bronzo le parole « Si quis dixerit… Anathem sit».
Quali arcani segreti si agitano e si liberano in queste opere, fluide, veloci, smaterializzate? Sorgono degli interrogativi.
Domande che impongono una risposta. Per noi non v’è che un grandioso sentimento di evasione e di liberazione da tutto ciò che è vincolato alla materia, ribellione al dogma del credere nella inviolabilità degli schemi tradizionali ed irrazionali dell’arte, la violazione alle consuetudini e ai tradizionalismi – e formalismi – che in arte hanno assunto la forza di legge; il compendio delle reazioni negative nel desiderio intimo di eternare la velocità dinamica dell’attimo in cui il soffio creatore diventa operante.
Per questo, forse, le opere di Piacco hanno trovato la critica muta anche se non assente e nessun compratore: i due fatti sono interdipendenti e si giustificano vicendevolmente.
Piacco all’estero avrebbe forse, ottenuto un successo di critica e in America, come in Francia, avrebbe, forse, venduto tutto. Per questo gli consigliamo di evadere dal piatto conformismo nostrano, se vorrà trovare nuovo estro, il pane quotidiano (quello fatto di farina, acqua e e sale), e maggiori soddisfazioni.
L’opera « Al palo » (N. 21) è esuberante, piena, bella: da essa la sofferenza scaturisce spontanea quasi che il supplizio dell’impalato fosse comune a tutti gli uomini.
Così nel « Il fonditore » (op. 35), nell’« Uomo col badile » (op. 34) e nell’« Uomo col piccone » (op. 23) dove Piacco raggiunge il massimo volume della sua voce.
Quegli « uomini » intenti ad un lavoro, pur così esili, quasi filiformi e senza sostanzialità corporea, sono pieni di esuberanza fisica, di eleganza e di stile, tanto che il lavoro diventa un motivo; un «motivo di danza» come mi pare di avere inteso dire ed è stato ben detto.
E la danza! Ecco il campo di battaglia dello scultore.
Le bronzee ballerine hanno una grazia inconfondibile e sembrano poste sulle onde di un motivo musicale che non c’è ma che si intuisce, pare di sentirlo.
Nell’opera « Il Perseo » c’è una trasposizione artistica di indubbio valore: qui Piacco ha eternato la « sua » verità artistica.
È una sensazione scultorea? È indubbio che Perseo di Piacco è vibrante e non certo appartenente alle tendenze cosiddette « futuriste ».
Non c’è da stupirsi, dunque, che fra tanto veloce dinamismo, qualcuno sia stato tratto in inganno paragonando Piacco ad artisti contemporanei quali Lipschitz Moore «e di riflesso il bolognese Minguzzi».
In effetti, lo scultore torinese, per la sua originalità, al momento non ha altri rivali all’infuori di sé stesso e nessun confronto è possibile.
Piacco è Piacco, anche se i riferimenti ai maggiori possano eventualmente renderlo discutibile, una ragione di più per qualificarlo secondo il suo giusto valore, i suoi giusti meriti e, ben inteso, dentro i suoi limiti.
RENATO MARMIROLI
(Tratto dalla rivista d'arte " Arte viva " n.1 settembre 1958
Le mostre - Premio Avezzano
Piacco. Lo scultore assimila sempre di più il moderno linguaggio della scultura, escludendo rigorosamente quelle voci che ci dicono dell’arte cavernicola degli Incas, delle sculture indo-afro-asiatiche che sono il paradiso di una deformata interpretazione del sistema filosofico-religioso da cui attingono altri scultori incapaci di una propria personalità e accumunati – per buona pace – da una strettamente chiusa organizzazione conventuale. Il Piacco si serve di un nuovo impianto tematico, libero da ogni vincolo precedente, da ogni preziosismo o impurezza da «soprammobile» sia nel «Cristo» che nel «Gallo».
Antonio Marasco
Antonio Marasco
(articolo tratto da <La semaine a Rome> <La settimana a Roma> 23.01 - 29.01 - 1959)
Profili d'artisti
Ubert Piacco
Aspirazione d’ogni artista è di far entrare le proprie opere nella cittadella di Originalità.
Ma, esperienza insegna, non abbondano quelle cui arride simile fortuna.
Nella sala 30, alla « Rassegna d’Arti figurative di Roma e del Lazio », Palazzo delle Esposizioni, ci siamo imbattuti in un gallo magistralmente scolpito dallo scultore Ubert Piacco, il quale alla cittadella di Originalità ha saputo arrivarvi con la gola gonfia di chicchirichì e i taglienti speroni della razza dei Bantam.
Se nella sua struttura modernissima, il gallo si accosta a moduli di chiaro figurativismo, le due danzatrici, in filo metallico, - aggiunte dall’autore alla Rassegna – rientrano esplicitamente nel repertorio delle forme astratte. Nonostante che forme e volumi, vi risultino rarefatti, tuttavia l’artista è riuscito a raggiungervi una concentrazione di valori intuitivi assolutamente originali.
Del resto, non un sola opera – nella fatica che dura, ormai, da anni di Piacco – induce alla perplessità: per quanto egli tenda a una sempre maggiore stringatezza nella esecuzione di suoi lavori, questi – sbucciati di particolari pleonastici come un frutto della scorza – si presentano immutabilmente nella luce d’una vigorosa espressività.
Se la modernità ne è il crisma essenziale, questa sua modernità – è altrettanto vero – si articola su piani di vigile e solido costruttivismo.
Gioverà ripetere che anche la dove le sue composizioni – siano esse di carattere sacro o profano – si facciano allusive (cfr. ballerine) il bronzo o i filamenti metallici da egli usati, rivelano la presenza di una idea creatrice grazie alla quale le sue qualità di stile, già tanto ricche e personali, possano arrivare a soluzioni inaspettatamente originali.
Assai indicative, in merito, le due mostre organizzate, in un recente passato, presso le gallerie romane « La Fontanella » e « Portonovo ».
D’un crocefisso, esposto alla « Portonovo », non riusciamo a dimenticare la tragica espressione del volto e la martirizzante agonia del corpo.
Di tant’altre opere, di vario soggetto, è piena la instancabile attività di Ubert Piacco il quale nato da genitori piemontesi a Jondreville (Francia), ha trascorso gran parte della sua vita a Torino dove ha frequentato l’Accademia Albertina. Da qualche anno vive e opera a Roma: quivi ha preso parte a mostre personali e collettive riscuotendo stima e interesse da parte del pubblico e della critica. Per il tono originale e moderno cui si informa ogni sua opera, molte tra queste figurano in collezioni straniere e italiane.
È un artista che avrà sempre qualcosa da dire.
UMBERTO CESARONI
Ma, esperienza insegna, non abbondano quelle cui arride simile fortuna.
Nella sala 30, alla « Rassegna d’Arti figurative di Roma e del Lazio », Palazzo delle Esposizioni, ci siamo imbattuti in un gallo magistralmente scolpito dallo scultore Ubert Piacco, il quale alla cittadella di Originalità ha saputo arrivarvi con la gola gonfia di chicchirichì e i taglienti speroni della razza dei Bantam.
Se nella sua struttura modernissima, il gallo si accosta a moduli di chiaro figurativismo, le due danzatrici, in filo metallico, - aggiunte dall’autore alla Rassegna – rientrano esplicitamente nel repertorio delle forme astratte. Nonostante che forme e volumi, vi risultino rarefatti, tuttavia l’artista è riuscito a raggiungervi una concentrazione di valori intuitivi assolutamente originali.
Del resto, non un sola opera – nella fatica che dura, ormai, da anni di Piacco – induce alla perplessità: per quanto egli tenda a una sempre maggiore stringatezza nella esecuzione di suoi lavori, questi – sbucciati di particolari pleonastici come un frutto della scorza – si presentano immutabilmente nella luce d’una vigorosa espressività.
Se la modernità ne è il crisma essenziale, questa sua modernità – è altrettanto vero – si articola su piani di vigile e solido costruttivismo.
Gioverà ripetere che anche la dove le sue composizioni – siano esse di carattere sacro o profano – si facciano allusive (cfr. ballerine) il bronzo o i filamenti metallici da egli usati, rivelano la presenza di una idea creatrice grazie alla quale le sue qualità di stile, già tanto ricche e personali, possano arrivare a soluzioni inaspettatamente originali.
Assai indicative, in merito, le due mostre organizzate, in un recente passato, presso le gallerie romane « La Fontanella » e « Portonovo ».
D’un crocefisso, esposto alla « Portonovo », non riusciamo a dimenticare la tragica espressione del volto e la martirizzante agonia del corpo.
Di tant’altre opere, di vario soggetto, è piena la instancabile attività di Ubert Piacco il quale nato da genitori piemontesi a Jondreville (Francia), ha trascorso gran parte della sua vita a Torino dove ha frequentato l’Accademia Albertina. Da qualche anno vive e opera a Roma: quivi ha preso parte a mostre personali e collettive riscuotendo stima e interesse da parte del pubblico e della critica. Per il tono originale e moderno cui si informa ogni sua opera, molte tra queste figurano in collezioni straniere e italiane.
È un artista che avrà sempre qualcosa da dire.
UMBERTO CESARONI
(Tratto dal quotidiano "Cinema Sport" 21.11.1970)
GALLERIA D’ARTE
Nelle opulenti figure di Mario Donizzetti i rinascimentali simbolismi moderni
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I preziosi disegni di Gigi Chessa presentati dal figlio Mauro – Sergio Sarri spiega il significato di «crudeltà» - Lorenzo Prato, un autentico naifista che si mette alla finestra – Paul Callins ha creato nuove specie di fiori – Gli eloquenti disegni di Massimo Quaglino – Forme, città e cose sconosciute, divulgate da Ubert Piacco – Ritornano le liriche composizioni di Pierre Manzoni – Svagate sintesi di Mary Morgillo e la magia mistica di Sandro.
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Ubert Piacco è nato in Francia (a Joudreville nel 1912) ma ha studiato a Torino, vive e lavora a Roma. Nella presentazione della mostra all’Arteviva (via Goffredo Casalis 12) si parla di scultura e pittura. Sciogliamo subito le riserve sulla prima che si riduce alle solite composizioni metallurgiche, molto in uso, che, pur chiamate « nuclei » o « pensieri plastici » o « forme naturali » sono sempre e soltanto composizioni e non sculture, cui la ruggine confida colori diversi. Dove Piacco invece si impone è nei dipinti, autorevoli, fantasiosi, persino surreali nella strutture geometriche e fusiformi, con alternative di colore e di bianco e nero che producono sensazioni alterne ed inducono ad interpretazioni personali, come cercare dal nostro istinto il suggerimento per dare un nome a quanto vediamo. È scritta nella presentazione questa frase di Roseberg: « Ciò che si realizza sulla tela non è un quadro ma un evento ».
Affermazione valida per qualsiasi artista ma che per Piacco deve essere un credo, perché a ben vedere le sue figurazioni l’evento non c’è ancora ma lo si attende. Ed è in tale attesa che si concreta la dialettica quasi spaziale di Ubert Piacco, fatta per esprimere una suggestione ed una emozione.
Vittorio Bottino
Affermazione valida per qualsiasi artista ma che per Piacco deve essere un credo, perché a ben vedere le sue figurazioni l’evento non c’è ancora ma lo si attende. Ed è in tale attesa che si concreta la dialettica quasi spaziale di Ubert Piacco, fatta per esprimere una suggestione ed una emozione.
Vittorio Bottino
(Tratto da "Stampa Sera" 27 - 28 Novembre 1970)
Le mostre d’arte a Torino
Sculture-pitture di Piacco
I quadri in metallo di Ubert Piacco – che, nato Joudreville nel 1912, ha studiato all’Accademia Albertina con Manzù e Musso esordendo a Torino nella Quadriennale del l947 – sono in realtà dei rilievi formati da alcuni elementi strutturali di carattere seriale, saldati tra loro così da dar vita a delle composizioni liberamente articolate, ma con ritmici legamenti più o meno sottintesi.
Non diversa è l’impostazione cui rispondono i grandi bianchi e neri, finemente modulati, in cui si finge l’emblematica astrazione spaziale propria delle sculture che, alla lunga, potrebbero riallacciarsi alle stesse ricerche dinamico-figurative di un Balla, sia pure svolte qui in un senso essenzialmente decorativo. Espone alla galleria «Arteviva», v. Goffredo Casalis 12.
Cimena d’oggi
Presso L’A.N.I.C.A.
Via Regina Margherita 286 Roma 11 Gennaio 1971
L’Autore del Lancillotto
Vivissimo successo di critica e di pubblico ha ottenuto recentemente alla galleria Arteviva di Torino lo scultore Ubert Piacco, con una serie di pitture e sculture inedite anche per il pubblico romano, che lo conosce da parecchi anni.
Ubert Piacco è noto nell’ambiente giornalistico quale autore del Lancillotto d’oro Premio Borselli dedicato al miglior giornalista dell’anno, istituito nel 1965 da produttori, attori, registi e giornalisti (da Alessandro Blasetti ad Alberto Sordi, Italo Dragosei, Mario Natale, Stefania Careddu, Dino De Laurentis, Vittorio Gassman, Raf Vallone, Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Carlo Ponti, Gianni Hecht, Rossella Falk ed altri).
Ubert Piacco è noto nell’ambiente giornalistico quale autore del Lancillotto d’oro Premio Borselli dedicato al miglior giornalista dell’anno, istituito nel 1965 da produttori, attori, registi e giornalisti (da Alessandro Blasetti ad Alberto Sordi, Italo Dragosei, Mario Natale, Stefania Careddu, Dino De Laurentis, Vittorio Gassman, Raf Vallone, Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Carlo Ponti, Gianni Hecht, Rossella Falk ed altri).
(Tratto dal "GIORNALE DELLO SPETTACOLO" 16 gennaio 1971)
Successo di UBERT PIACCO a Torino
Vivissimo successo di critica e di pubblico ha ottenuto recentemente alla galleria Arteviva di Torino lo scultore Ubert Piacco, con una serie di pitture e sculture inedite anche per il pubblico romano, che lo conosce da parecchi anni: sculture e pitture moderne che hanno interessato e sconcertato il pubblico e la critica torinese cui Piacco è apparso come una rivelazione, se si considera che aveva tenuto la prima mostra nella sua città alla Quadriennale del 1947, allorché fu segnalato da Marziano Bernardi.
Nato a Joudreville (Francia), Piacco ha studiato alla Accademia Albertina di Torino, compagno di Manzù e di Musso. Trasferitosi a Roma allestì una prima « personale » nel ’57, presentato da Emilio Villa, ottenendo un successo straordinario: l’anno dopo, a Firenze conquistava il premio riservato ad una scultura sportiva: le sue opere figurano presso gallerie private a Roma, Torino, Firenze, Cannes, presso l’Off modern Art Filadelfia e presso la Soprintendenza alla Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea in Roma.
Ubert Piacco è noto nell’ambiente giornalistico quale autore del « Lancillotto d’oro Premio Borselli » dedicato al miglior giornalista dell’anno, istituito nel 1965 da produttori, attori, registi e giornalisti (da Alessandro Blasetti ad Alberto Sordi, Italo Dragosei, Mario Natale, Stefania Careddu, Dino De Laurentis, Vittorio Gassman, Raf Vallone, Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Carlo Ponti, Gianni Hecht, Rossella Falk ed altri).
Oltre al successo della recente mostra di Torino (che sarà ripetuta a Roma in primavera), Ubert Piacco ha partecipato a numerose altre mostre tra le quali la Quadriennale di Torino, Palazzo Chiablese Torino, Fontanella Roma (personale), Portonovo Roma (personale), Cannes 1957, Biennale Padova, Panatlon Firenze, Premio Avezzano, Biennale Triveneta, Biennale Premio Sardegna 1959, Freie Muncher Monaco 1961, Palazzo Venezia Roma 1962, Y.M.C.A. personale 1963-64, Sindacato Romano 1968, Vegua Stampa 1969, Premio Mazzacurati Teramo 1970.
Nato a Joudreville (Francia), Piacco ha studiato alla Accademia Albertina di Torino, compagno di Manzù e di Musso. Trasferitosi a Roma allestì una prima « personale » nel ’57, presentato da Emilio Villa, ottenendo un successo straordinario: l’anno dopo, a Firenze conquistava il premio riservato ad una scultura sportiva: le sue opere figurano presso gallerie private a Roma, Torino, Firenze, Cannes, presso l’Off modern Art Filadelfia e presso la Soprintendenza alla Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea in Roma.
Ubert Piacco è noto nell’ambiente giornalistico quale autore del « Lancillotto d’oro Premio Borselli » dedicato al miglior giornalista dell’anno, istituito nel 1965 da produttori, attori, registi e giornalisti (da Alessandro Blasetti ad Alberto Sordi, Italo Dragosei, Mario Natale, Stefania Careddu, Dino De Laurentis, Vittorio Gassman, Raf Vallone, Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Carlo Ponti, Gianni Hecht, Rossella Falk ed altri).
Oltre al successo della recente mostra di Torino (che sarà ripetuta a Roma in primavera), Ubert Piacco ha partecipato a numerose altre mostre tra le quali la Quadriennale di Torino, Palazzo Chiablese Torino, Fontanella Roma (personale), Portonovo Roma (personale), Cannes 1957, Biennale Padova, Panatlon Firenze, Premio Avezzano, Biennale Triveneta, Biennale Premio Sardegna 1959, Freie Muncher Monaco 1961, Palazzo Venezia Roma 1962, Y.M.C.A. personale 1963-64, Sindacato Romano 1968, Vegua Stampa 1969, Premio Mazzacurati Teramo 1970.
(Tratto da "Espresso Sera" 25-26 marzo 1971)
<<Personale>> di scultura e pittura di Ubert Piacco
Presso la Galleria dell’YMCA «personale» di scultura e di pittura Ubert Piacco, il noto artista che si esprime in maniera univoca sia nell’uno che nell’altro campo delle arti figurative. Non si tratta di impostazione aprioristica della ricerca verso una strutturazione della materia od un'impaginazione del dipinto, che si caratterizza in uno stile, ma di un momento che l’artista attualizza, aprendo il suo costruttivismo verso un divenire spaziale che non conosce limiti.
Le sue sculture ed i suoi dipinti aprono un colloquio inedito con chi guarda preponendo un finalità estetica proporzionale alla preparazione culturale e fantastica dell’osservatore.
Nelle composizioni di Ubert Piacco i limiti sono convenzionali, quasi sofferenti per l’usura dello spazio, che imprigiona le lamiere di ferro o il dipinto, ma potrebbero continuare senza soluzione di continuità. E questo annotiamo per quelle opere che appunto sembrano prodotti per un accordo strutturale preconcetto. Ma vi sono opere autonome sia di scultura, come quella dei cubi aperti, completamente distratte da un ordine geometrico che sembrano proporre il concetto del «rigetto» o di pittura come quella luministicamente attiva, che apre su un’apoteosi spaziale inusitata e fantastica.
Piacco produce anche delle composizioni con metalli elementari, che, impaginate sotto vetro, assumono la caratteristica degli sbalzi. Inoltre, l’artista espone un «gallo» in bronzo di antica datazione, stilizzato in maniera da proporci la sintesi, suprema, il che senza dubbio almeno da credito alle sue origini. Una mostra da vedere e da meditare questa di Piacco all’YMCA, che dispone la mente verso un colloquio proficuo del nuovo corso estetico.
RICCARDO CAMPANELLA
Le sue sculture ed i suoi dipinti aprono un colloquio inedito con chi guarda preponendo un finalità estetica proporzionale alla preparazione culturale e fantastica dell’osservatore.
Nelle composizioni di Ubert Piacco i limiti sono convenzionali, quasi sofferenti per l’usura dello spazio, che imprigiona le lamiere di ferro o il dipinto, ma potrebbero continuare senza soluzione di continuità. E questo annotiamo per quelle opere che appunto sembrano prodotti per un accordo strutturale preconcetto. Ma vi sono opere autonome sia di scultura, come quella dei cubi aperti, completamente distratte da un ordine geometrico che sembrano proporre il concetto del «rigetto» o di pittura come quella luministicamente attiva, che apre su un’apoteosi spaziale inusitata e fantastica.
Piacco produce anche delle composizioni con metalli elementari, che, impaginate sotto vetro, assumono la caratteristica degli sbalzi. Inoltre, l’artista espone un «gallo» in bronzo di antica datazione, stilizzato in maniera da proporci la sintesi, suprema, il che senza dubbio almeno da credito alle sue origini. Una mostra da vedere e da meditare questa di Piacco all’YMCA, che dispone la mente verso un colloquio proficuo del nuovo corso estetico.
RICCARDO CAMPANELLA
(Tratto da "OTTOGIORNI" Anno II – n. 49 – 4 aprile 1971)
“Personale,,
Di Ubert Piacco
Espone in questi giorni a Catania Ubert Piacco, uno scultore che, nato in Francia, ha studiato a Torino riportando nella sua carriera artistica notevoli e meritati successi di critica e di pubblico. Ha partecipato alla Quadriennale a Torino nel 1947, ha viaggiato molto in Europa esponendo le sue opere d’arte che hanno sempre riscosso i consensi della stampa specializzata.
È l’autore della scultura in oro « Il Lancillotto » premio Borselli dedicato ogni anno al miglior giornalista, istituito nel 1965 da Alessandro Blasetti, Alberto Sordi Italo, Dragosei, Vittorio Gassman, Raf Vallone, Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Carlo Ponti etc. C. Lavorino ha giustamente detto che Piacco è un vero artista alla ricerca del disimpegno totale. Lo abbiamo appreso in questi giorni all’Y.M.C.A. quando abbiamo avuto modo di ammirare le sue opere rivolte ad una indagine operata in un terminologia simbolica e spaziale insieme. Piacco è piaciuto al pubblico catanese per la espressività e per i temi che egli liberamente evoca in un mondo ricco di ritmi e di armonie.
È l’autore della scultura in oro « Il Lancillotto » premio Borselli dedicato ogni anno al miglior giornalista, istituito nel 1965 da Alessandro Blasetti, Alberto Sordi Italo, Dragosei, Vittorio Gassman, Raf Vallone, Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Carlo Ponti etc. C. Lavorino ha giustamente detto che Piacco è un vero artista alla ricerca del disimpegno totale. Lo abbiamo appreso in questi giorni all’Y.M.C.A. quando abbiamo avuto modo di ammirare le sue opere rivolte ad una indagine operata in un terminologia simbolica e spaziale insieme. Piacco è piaciuto al pubblico catanese per la espressività e per i temi che egli liberamente evoca in un mondo ricco di ritmi e di armonie.
(articolo pubblicato dai quotidiani: " BARIsport " 15.12.1976 - " GAZZETTA DI MANTOVA " 9.11.1977 - " L'Arena di Verona " 28.11.1977)
Incontro con un singolare artista italiano contemporaneo
UBERT PIACCO : 1 più 1 uguale 1
Nell'immagine, un'opera scultoria di Ubert Piacco.
Ubert Piacco ha fatto rivivere nello splendore dell’argento il mito di Scilla, la bellissima vergine che la gelosissima maga Circe trasformò in un mostro. Senza rifarsi ai modelli antichi, Piacco ha reinventato quel lontano mito in una moderna allegoria. Qui Scilla, attraverso una sintesi plastica che comprende la piramide e il cono, mostra l'ambiguità e l'ambivalenza del corpo umano. Attribuendo lo scultore, alla forma piramidale l'idea di mascolinità ed al cono l'idea di femminilità, fa di Scilla l'immagine emblematica capace di contenere il mistero della vita la cui decifrabilità risulta difficilissima. L'uomo e la donna contenendosi a vicenda ed in maniera indefinibile, aprono abissi di misteri sulle strutture psicologiche dell'unica creatura vivente capace di pensare.
Ubert Piacco "Scilla" - allegoria
Il mio primo incontro con Ubert Piacco, scultore e pittore, risale a vent’anni fa.
Nel ’57, egli aveva esposto a Roma, alla galleria Fontanella riscuotendo critiche lusinghiere e anche un po’ scombinate.
Allievo in tempi lontani di Manzù, non ha mai dimenticato la severità stilistica del maestro, realizzando attraverso il tempo una scultura che rispecchia il senso drammatico dell’esistenza dell’uomo. La costante in Piacco scultore è la solitudine dell’uomo e la sua disperata ricerca dell’amore fisico e spirituale. Perciò la sua scultura tocca i vertici maggiori là dove i protagonisti della vita e della morte si incontrano e stringono un’alleanza nell’amore. Nell’amore, secondo Piacco, si verifica la distruzione della solitudine, le due unità diventano un sola. Ma in questo atteggiamento non c’è retroterra religioso, in senso confessionale. Piacco sente l’uomo una creatura terrorizzata dall’universo in cui vive.
Arte,dunque,quella di Ubert Piacco, che ha radici in un umanesimo antico filtrato da una moderna sensibilità non corrotta da pseudo ideologie politiche. L'uomo, sostiene Piacco,vive la tragedia dell'esistenza sostanzialmente solo e un qualsiasi Iddio, cui spesso l'uomo si rivolge, non è che un gancio cui attaccare la disperazione di sentirsi dentro una traettoria immodificabile: vita e morte, cui seguirà il silenzio.
Un uomo come Piacco perciò non produce arte per fini mercantili. La sua è una testimonianza. Testimonianza del caos dell’esistenza di cui ferma attimi che rivelano delle prese di coscienza.
Lo incontro, come dicevo a vent’anni di distanza e gli chiedo di rivelarmi se le sue opere di oggi lo separano da quelle di ieri.
« Non si vive vent’anni – mi dice, nel suo studio in via Antonio Pignatelli, nel quartiere di Monteverde Nuovo – senza che qualcosa si sia verificato dentro di noi, soprattutto perché qualcosa si è verificato fuori di noi. Vivevamo nel caos vent’anni fa. In vent'anni si è moltiplicato. Ora il caos ci sommerge. Ci sommerge perché la società borghese non si è dissolta del tutto e una società nuova non si è ancora definitivamente consolidata in Occidente. Il marxismo, checché ne dicono i suoi cantori, è rimasto nei libri. Nell’Europa orientale si è solidificato in un oligarchia, quanto il Cristianesimo dell’Inquisizione, mentre nell’Europa occidentale, a parte le chiacchiere ideologiche dei sociologi da strapazzo, è preso a pretesto per rendere attivo il consumismo. E noi che viviamo in questa società indefinibile ma feroce non possiamo che constatare il quotidiano naufragio del sogno marxista. Nel mondo dell’arte, dopo i tanti sperimentalismi, ove l’uomo è stato volutamente dimenticato e ignorato, dopo funamboliche astrazioni e virtuosismi decorativi di una fantasia sganciata dalla realtà, si torna a chiedersi se non sia il caso di compiere dei ripensamenti… Alle ipotesi di universi e di mondi celati dietro l’irrazionalismo astratto, ora seguono ricerche in cui l’uomo torna ad essere la misura del proprio universo… ».
- Ma che valore ha tutta l’arte contemporanea?
<< Tutta l’arte contemporanea riflette il caos in cui viviamo, cioè una società che io oggi rifiuto in blocco. Il tragico anzi il grottesco è che all’interno di questa società operano dei movimenti cosiddetti artistici, leggasi « scultura costruttivistica, scultura materica e scultura figurativa-simbolica », che si alimentano di equivoci. La cultura è frutto di una società in « movimento » il cui protagonista è l’uomo; ora se l’uomo, che è il produttore di questa cultura, viene escluso, come può l’arte rispecchiare il dramma dell’uomo stesso? Bisogna, credo, tornare all’uomo. Anch’io ho sperimentato l’astrattismo, ma devo riconoscere che è stato un modo di vivere la parte conclusiva della decadenza borghese e, in questo senso, hanno ragione i marxisti ortodossi. Ad un certo punto, però, ho avvertito un grande malessere, mi sono reso conto che dovevo tornare indietro, all’uomo. E sono tornato alla candela, ho rifiutato la luce elettrica. Quando l’arte, come è accaduto e accade, approda all’opera creativa identificandosi con la tela bianca, la società che vi si rispecchia è una società finita, senza speranza. Dopo aver scoperto la tela bianca, ho ripercorso il cammino delle mie esperienze d’uomo. Per molto tempo mi sono interrogato e alla fine credo di aver individuato nell’uomo una sintesi di mistero cosmico che rifiuta ogni definizione sociologica. L’uomo non è quello che mangia, ma quello che pensa. Religione e politica, borghesia e marxismo non offrono all’uomo alcuna opportunità di uscire dalla condizione di angoscia in cui vive quando ha preso coscienza che l’esistenza è qualcosa di inspiegabile. Se l’uomo opera all’interno di una data società avviene per caso. L’artista non può non tenere conto di tutto questo. E poiché il tempo e le civiltà slittano in continuazione, l’artista ha il compito di testimoniare il dramma dell’uomo, nel dolore e nella gioia, nella disperazione e nella speranza. L’artista ha il compito di estrarre l’ordine dal caos e di proporlo come specchio del destino umano. Tutto questo attraverso un linguaggio che diventa « stile » e non « atteggiamento » come vorrebbero i teorici marxisti…>.
- Quindi il progresso, per l’artista ha un senso?
< Non direi proprio, perché il progresso tecnologico e sociale schiavizzano l’uomo, a tutti i livelli…>.
- Quali sono i modelli artistici che pensi ti consentiranno di tornare a lavorare?
< Non li ho ancora trovati…>.
Nel rifiuto delle mode, Ubert Piacco denuncia la disperazione della ricerca per nuovi valori. Ma quali valori? Egli sta scavando un tunnel nel regno degli interrogativi, ma verso quale luce approderà? Ci attende ancora la luce?
FRANCO TOSI
Ubert Piacco ha fatto rivivere nello splendore dell’argento il mito di Scilla, la bellissima vergine che la gelosissima maga Circe trasformò in un mostro. Senza rifarsi ai modelli antichi, Piacco ha reinventato quel lontano mito in una moderna allegoria. Qui Scilla, attraverso una sintesi plastica che comprende la piramide e il cono, mostra l'ambiguità e l'ambivalenza del corpo umano. Attribuendo lo scultore, alla forma piramidale l'idea di mascolinità ed al cono l'idea di femminilità, fa di Scilla l'immagine emblematica capace di contenere il mistero della vita la cui decifrabilità risulta difficilissima. L'uomo e la donna contenendosi a vicenda ed in maniera indefinibile, aprono abissi di misteri sulle strutture psicologiche dell'unica creatura vivente capace di pensare.
Ubert Piacco "Scilla" - allegoria
Il mio primo incontro con Ubert Piacco, scultore e pittore, risale a vent’anni fa.
Nel ’57, egli aveva esposto a Roma, alla galleria Fontanella riscuotendo critiche lusinghiere e anche un po’ scombinate.
Allievo in tempi lontani di Manzù, non ha mai dimenticato la severità stilistica del maestro, realizzando attraverso il tempo una scultura che rispecchia il senso drammatico dell’esistenza dell’uomo. La costante in Piacco scultore è la solitudine dell’uomo e la sua disperata ricerca dell’amore fisico e spirituale. Perciò la sua scultura tocca i vertici maggiori là dove i protagonisti della vita e della morte si incontrano e stringono un’alleanza nell’amore. Nell’amore, secondo Piacco, si verifica la distruzione della solitudine, le due unità diventano un sola. Ma in questo atteggiamento non c’è retroterra religioso, in senso confessionale. Piacco sente l’uomo una creatura terrorizzata dall’universo in cui vive.
Arte,dunque,quella di Ubert Piacco, che ha radici in un umanesimo antico filtrato da una moderna sensibilità non corrotta da pseudo ideologie politiche. L'uomo, sostiene Piacco,vive la tragedia dell'esistenza sostanzialmente solo e un qualsiasi Iddio, cui spesso l'uomo si rivolge, non è che un gancio cui attaccare la disperazione di sentirsi dentro una traettoria immodificabile: vita e morte, cui seguirà il silenzio.
Un uomo come Piacco perciò non produce arte per fini mercantili. La sua è una testimonianza. Testimonianza del caos dell’esistenza di cui ferma attimi che rivelano delle prese di coscienza.
Lo incontro, come dicevo a vent’anni di distanza e gli chiedo di rivelarmi se le sue opere di oggi lo separano da quelle di ieri.
« Non si vive vent’anni – mi dice, nel suo studio in via Antonio Pignatelli, nel quartiere di Monteverde Nuovo – senza che qualcosa si sia verificato dentro di noi, soprattutto perché qualcosa si è verificato fuori di noi. Vivevamo nel caos vent’anni fa. In vent'anni si è moltiplicato. Ora il caos ci sommerge. Ci sommerge perché la società borghese non si è dissolta del tutto e una società nuova non si è ancora definitivamente consolidata in Occidente. Il marxismo, checché ne dicono i suoi cantori, è rimasto nei libri. Nell’Europa orientale si è solidificato in un oligarchia, quanto il Cristianesimo dell’Inquisizione, mentre nell’Europa occidentale, a parte le chiacchiere ideologiche dei sociologi da strapazzo, è preso a pretesto per rendere attivo il consumismo. E noi che viviamo in questa società indefinibile ma feroce non possiamo che constatare il quotidiano naufragio del sogno marxista. Nel mondo dell’arte, dopo i tanti sperimentalismi, ove l’uomo è stato volutamente dimenticato e ignorato, dopo funamboliche astrazioni e virtuosismi decorativi di una fantasia sganciata dalla realtà, si torna a chiedersi se non sia il caso di compiere dei ripensamenti… Alle ipotesi di universi e di mondi celati dietro l’irrazionalismo astratto, ora seguono ricerche in cui l’uomo torna ad essere la misura del proprio universo… ».
- Ma che valore ha tutta l’arte contemporanea?
<< Tutta l’arte contemporanea riflette il caos in cui viviamo, cioè una società che io oggi rifiuto in blocco. Il tragico anzi il grottesco è che all’interno di questa società operano dei movimenti cosiddetti artistici, leggasi « scultura costruttivistica, scultura materica e scultura figurativa-simbolica », che si alimentano di equivoci. La cultura è frutto di una società in « movimento » il cui protagonista è l’uomo; ora se l’uomo, che è il produttore di questa cultura, viene escluso, come può l’arte rispecchiare il dramma dell’uomo stesso? Bisogna, credo, tornare all’uomo. Anch’io ho sperimentato l’astrattismo, ma devo riconoscere che è stato un modo di vivere la parte conclusiva della decadenza borghese e, in questo senso, hanno ragione i marxisti ortodossi. Ad un certo punto, però, ho avvertito un grande malessere, mi sono reso conto che dovevo tornare indietro, all’uomo. E sono tornato alla candela, ho rifiutato la luce elettrica. Quando l’arte, come è accaduto e accade, approda all’opera creativa identificandosi con la tela bianca, la società che vi si rispecchia è una società finita, senza speranza. Dopo aver scoperto la tela bianca, ho ripercorso il cammino delle mie esperienze d’uomo. Per molto tempo mi sono interrogato e alla fine credo di aver individuato nell’uomo una sintesi di mistero cosmico che rifiuta ogni definizione sociologica. L’uomo non è quello che mangia, ma quello che pensa. Religione e politica, borghesia e marxismo non offrono all’uomo alcuna opportunità di uscire dalla condizione di angoscia in cui vive quando ha preso coscienza che l’esistenza è qualcosa di inspiegabile. Se l’uomo opera all’interno di una data società avviene per caso. L’artista non può non tenere conto di tutto questo. E poiché il tempo e le civiltà slittano in continuazione, l’artista ha il compito di testimoniare il dramma dell’uomo, nel dolore e nella gioia, nella disperazione e nella speranza. L’artista ha il compito di estrarre l’ordine dal caos e di proporlo come specchio del destino umano. Tutto questo attraverso un linguaggio che diventa « stile » e non « atteggiamento » come vorrebbero i teorici marxisti…>.
- Quindi il progresso, per l’artista ha un senso?
< Non direi proprio, perché il progresso tecnologico e sociale schiavizzano l’uomo, a tutti i livelli…>.
- Quali sono i modelli artistici che pensi ti consentiranno di tornare a lavorare?
< Non li ho ancora trovati…>.
Nel rifiuto delle mode, Ubert Piacco denuncia la disperazione della ricerca per nuovi valori. Ma quali valori? Egli sta scavando un tunnel nel regno degli interrogativi, ma verso quale luce approderà? Ci attende ancora la luce?
FRANCO TOSI
arte, scultura e pittura di Ubert Piacco
Ubert Piacco, art, la sculpture et la peinture
Ubert Piacco, art, la sculpture et la peinture